giovedì 15 dicembre 2011

Cuento de navidad: El Abeto







L'abete
Una fiaba per bambini di Hans Christian Andersen
In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt'intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all'aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all'alberello e esclamavano: «Oh, com'è carino così piccolo!» ma all'albero dispiaceva molto sentirlo.
L'anno dopo il tronco gli si era allungato, e l'anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.
«Oh! se solo fossi grosso come gli altri alberi!» sospirava l'alberello «potrei allargare per bene i miei rami e con la cima ammirare il vasto mondo! gli uccelli costruirebbero i loro nidi tra i miei rami e quando c'è vento potrei dondolarmi solennemente, come fanno tutti gli altri.»
E non si godeva affatto né il sole, né gli uccelli o le nuvole rosse che mattina e sera gli passavano sopra.
Quand'era inverno e la neve brillava bianchissima tutt'intorno, arrivava spesso una lepre e con un salto si posava proprio sopra l'alberello. "Che noia!" Ma dopo due inverni l'albero era così grande che la lepre dovette limitarsi a girargli intorno. "Oh! crescere, crescere, diventare grosso e vecchio, è l'unica cosa bella di questo mondo" pensava l'albero.
In autunno giunsero i taglialegna per abbattere alcuni degli alberi più grandi; questo accadeva ogni anno e il giovane abete, che ormai era ben cresciuto, rabbrividiva al pensiero di quei grandi e meravigliosi alberi che cadevano a terra con un fragore incredibile. I loro rami venivano strappati, così restavano lì nudi, esili e magri che quasi non si riconoscevano più, poi venivano messi sui carri e i cavalli li portavano fuori dal bosco.
Dove erano diretti? Che cosa ne sarebbe stato di loro?
In primavera, quando giunsero la rondine e la cicogna, l'albero chiese: «Sapete forse dove sono stati portati? Non li avete incontrati?».
La rondine non sapeva nulla, ma la cicogna sembrò riflettere un po', poi fece cenno col capo e disse: «Sì, credo di sì! Ho incontrato molte nuove navi, mentre tornavo dall'Egitto; avevano alberi maestri magnifici: immagino fossero loro, dato che odoravano di abete. Posso assicurarvi che erano magnifici, davvero magnifici!».
«Oh, se anch'io fossi abbastanza grande da andare per il mare! Ma com'è poi in realtà questo mare, e a cosa assomiglia?»
«È troppo lungo da spiegare!» rispose la cicogna andandosene.
«Rallegrati per la giovinezza!» dissero i raggi di sole. «Rallegrati per la tua crescita, per la giovane vita che è in te!»
Il vento baciò l'albero e la rugiada riversò su di lui le sue lacrime, ma l'albero non riuscì a capire.
Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell'abete, che non riusciva a avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.
«Dove vanno?» chiese l'abete «non sono più grandi di me, anzi ce n'era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?»
«Noi lo sappiamo! Noi lo sappiamo!» cinguettarono i passerotti «abbiamo curiosato attraverso i vetri delle finestre, in città. Sappiamo dove vengono portati! Ricevono una ricchezza e uno sfarzo inimmaginabili! Abbiamo visto attraverso le finestre che vengono piantati in mezzo a una stanza riscaldata e decorati con le cose più belle, mele dorate, tortine di miele, giocattoli e molte centinaia di candeline!»
«E poi?» domandò l'abete agitando i rami «e poi? Che cosa succede dopo?»
«Non abbiamo visto altro. Ma era meraviglioso!»
«Magari sarò anch'io destinato a seguire quel destino splendente!» si rallegrò l'abete. «E è molto meglio che andare per mare. Che nostalgia! Se solo fosse Natale! Ormai sono alto e sviluppato come gli alberi che erano stati portati via l'anno scorso. Potessi essere già sul carro! E nella stanza riscaldata con quello sfarzo e quella ricchezza! e poi? Poi succederanno cose ancora più belle, più meravigliose; altrimenti perché mi decorerebbero? Deve succedere qualcosa di più importante, di più straordinario, ma che cosa? Come soffro! che nostalgia! Non so neppure io che cosa mi succede!»
«Rallegrati con me!» dissero l'aria e la luce del sole «goditi la tua gioventù qui all'aperto!»
Ma lui non gioiva affatto. Cresceva continuamente e restava verde sia d'estate che d'inverno, di un verde scuro, e la gente che lo vedeva esclamava: «Che bell'albero!». Verso Natale fu il primo albero a essere abbattuto. La scure penetrò in profondità nel midollo; l'albero cadde a terra con un sospiro, sentì un dolore, un languore che non gli fece pensare a nessuna felicità era triste perché doveva abbandonare la sua casa, la zolla da cui era spuntato.
Sapeva bene che non avrebbe più rivisto i vecchi e cari compagni, i piccoli cespugli e i fiorellini che stavano intorno a lui, e forse neppure gli uccelli. La partenza non fu certo una cosa piacevole.
L'albero si riprese solo mentre veniva scaricato con gli altri alberi, quando udì esclamare: «Questo è magnifico! Lo dobbiamo usare senz'altro!».
Giunsero due camerieri in ghingheri che portarono l'abete in una grande sala molto bella.
Tutt'intorno, sulle pareti, pendevano ritratti e vicino a una grande stufa di maiolica si trovavano vasi cinesi con leoni sul coperchio. C'erano sedie a dondolo divani ricoperti di seta, grossi tavoli sommersi da libri illustrati e da giocattoli che valevano cento volte cento talleri, come dicevano i bambini. L'abete venne messo in piedi in un secchio di sabbia, ma nessuno vide che era un secchio, perché era stato ricoperto di stoffa verde e era stato messo su un grosso tappeto a vari colori. Come tremava l'albero! Che cosa sarebbe accaduto? I camerieri e le signorine lo decorarono. Su un ramo pendevano piccole reti ricavate dalla carta colorata; ognuna era stata riempita di caramelle. Pendevano anche mele e noci dorate, che sembravano quasi cresciute dai rami. Poi vennero fissate ai rami più di cento candeline bianche rosse e blu. Bambole che sembravano vere, e che l'abete non aveva mai visto prima d'allora, dondolavano tra il verde. In cima venne posta una grande stella fatta con la stagnola dorata; era proprio meravigliosa.
«Questa sera!» esclamarono tutti «questa sera deve splendere!»
"Fosse già sera!" pensò l'albero "se almeno le candele fossero accese presto! Che cosa accadrà? Chissà se verranno gli alberi del bosco a vedermi? E chissà se i passerotti voleranno fino alla finestra? Forse metterò radici qui e resterò decorato estate e inverno!"
Sì! ne sapeva davvero poco! ma gli era venuto mal di corteccia per la nostalgia, e il mal di corteccia è fastidioso per un albero come lo è il mal testa per noi.
Finalmente vennero accese le candele. Che splendore, che magnificenza! L'albero tremava con tutti i suoi rami finché una candelina appiccò fuoco al verde. Che dolore!
«Dio ci protegga!» gridarono le signorine e subito spensero la fiamma.
Ora l'albero non osava neppure più tremare. Che tortura! Aveva una gran paura di perdere qualche parte del suo addobbo, e era molto turbato per tutto quello sfarzo. Si aprirono i due battenti della porta e una quantità di bambini si precipitò nella stanza, sembrava quasi che volessero rovesciare l'albero. Gli adulti li seguirono con prudenza; i piccoli si azzittirono, ma solo per un attimo, poi gridarono nuovamente di gioia facendo tremare tutta la casa. Ballarono intorno all'albero e tolsero, uno dopo l'altro, tutti i regali.
"Che cosa fanno?" pensò l'albero. "Che succede?" Intanto le candele bruciarono fino ai rami, e man mano che si consumarono vennero spente. Poi i bambini ebbero il permesso di disfare l'albero. Gli si precipitarono contro con tale veemenza che l'albero sentì scricchiolare tutti i rami. Se non fosse stato fissato al soffitto con la stella dorata si sarebbe certamente rovesciato.
I bambini gli saltellavano intorno coi loro magnifici giocattoli. Nessuno guardò più l'albero, eccetto la vecchia bambinaia che curiosò tra le foglie per vedere se era stato dimenticato un fico secco o una mela.
«Una storia! Una storia!» gridarono i bambini trascinando un signore piccoletto ma robusto verso l'albero. Lui vi si sedette proprio sotto e disse: «Adesso siamo nel bosco, e anche l'albero farebbe bene a ascoltare! Comunque racconterò solo una storia. Volete quella di Ivede-Avede o quella di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa?».
«Ivede-Avede!» gridarono alcuni; «Klumpe-Dumpe» gridarono altri. Fu un grido solo e solo l'albero se ne stette zitto a pensare: "Non posso partecipare anch'io? Non posso far più nulla?". In realtà aveva già partecipato e fatto la parte che gli spettava.
L'uomo raccontò la storia di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa; i bambini batterono le mani e gridarono: «Racconta, racconta!». Volevano sentire anche quella di Ivede-Avede, ma fu raccontata solo la storia di Klumpe-Dumpe. L'abete se ne stava zitto e pensieroso; gli uccelli del bosco non avevano mai raccontato storie del genere.
Klumpe-Dumpe che cade dalle scale e sposa la principessa! Certo: è così che va il mondo! concluse l'albero, credendo che tutto fosse vero, dato che era stato raccontato da un uomo così per bene. "Certo! Chi può mai saperlo? Forse cadrò anch'io dalle scale e sposerò una principessa!". E si rallegrò al pensiero che il giorno dopo sarebbe stato decorato di nuovo con candele, giocattoli, e frutta dorata.
"Domani non tremerò!" pensò. "Voglio proprio godermi tutto quello splendore. Domani sentirò ancora la storia di Klumpe-Dumpe e forse anche quella di Ivede-Avede."
L'albero restò fermo a pensare per tutta la notte.
Il mattino dopo entrarono il cameriere e la domestica.
«Adesso ricomincia la festa!" pensò l'albero; invece lo trascinarono fuori dalla stanza, su per le scale fino in soffitta e lo misero in un angolo buio dove non arrivava neanche un filo di luce. "Che significa!?" pensò l'albero. "Che cosa faccio qui? Che cosa posso ascoltare da qua?" Si appoggiò al muro e continuò a pensare. Di tempo ne aveva, passarono giorni e notti e nessuno venne lassù, quando finalmente comparve qualcuno, fu solo per posare delle casse in un angolo. L'albero era ormai nascosto, si poteva pensare che fosse stato dimenticato.
"Adesso è inverno là fuori!» pensò l'albero. "La terra è dura e coperta di neve. Gli uomini non potrebbero ripiantarmi, per questo devo rimanere al riparo fino a primavera. Che ottima idea! Come sono bravi gli uomini! Se solo qui non fosse così buio ed io non fossi così solo! Non c'è neppure una piccola lepre! Invece era proprio bello nel bosco quando c'era la neve e la lepre mi passava vicino. Sì, anche quando mi saltava sopra ma allora non mi piaceva. Qui invece c'è una solitudine terribile!"
«Pi! Pi!» esclamò un topolino proprio in quel momento e saltò fuori. Subito dopo ne uscì un altro. Fiutarono l'abete e si infilarono tra i rami.
«Fa un freddo tremendo!» dissero i topolini. «Se non fosse per questo freddo, si starebbe bene qui! Non è vero, vecchio abete?»
«Non sono affatto vecchio!» replicò l'abete. «Ce ne sono molti che sono più vecchi di me!»
«Da dove vieni?» gli chiesero i topolini «e che cosa sai?» Erano infatti terribilmente curiosi. «Raccontaci del posto più bello della terra! Ci sei stato? Sei stato nella dispensa dove c'è il formaggio sugli scaffali e i prosciutti pendono dai soffitto, dove si balla sulle candele di sego, dove si arriva magri e si esce grassi?»
«Non lo conosco!» rispose l'albero «ma conosco il bosco, dove splende il sole e dove gli uccelli cinguettano!» e così raccontò della sua gioventù, e i topolini non avevano mai sentito nulla di simile, così lo ascoltarono attentamente e poi dissero: «Oh! Tu hai visto molto! come sei stato felice!».
«Io?» esclamò l'abete, pensando a quello che raccontava. «Sì, in fondo sono stati bei tempi!» poi raccontò della sera di Natale, di quando era stato addobbato con dolci e candeline.
«Oh!» esclamarono i topolini «come sei stato felice, vecchio abete!»
«Non sono per niente vecchio!» rispose l'albero. «Sono venuto via dal bosco quest'inverno! Sono nell'età migliore, ho solo terminato la crescita!»
«Come racconti bene!» gli dissero i topolini, e la notte dopo ritornarono con altri quattro topolini che volevano sentire il racconto dell'albero; e quanto più raccontava, tanto più chiaramente si ricordava tutto e pensava: "Erano proprio bei tempi! Ma ritorneranno, ritorneranno! Klumpe-Dumpe cadde dalle scale e ebbe la principessa; forse anch'io ne sposerò una" e intanto pensava ad una piccola e graziosa betulla che cresceva nel bosco e che per l'abete era come una bella principessa.
«Chi è Klumpe-Dumpe?» chiesero i topolini, e l'abete raccontò tutta la storia; ricordava ogni parola e i topolini erano pronti a saltare in cima all'albero per il divertimento. La notte successiva vennero molti più topi e la domenica giunsero persino due ratti; ma dissero che la storia non era divertente e questo rattristò i topolini che pure, da allora, la trovarono meno divertente.
«Lei conosce solo questa storia?» chiesero i ratti.
«Solo questa!» rispose l'albero «la sentii durante la serata più felice della mia vita, ma in quel momento non capii quanto era felice.»
«È una storia veramente brutta! Non ne conosce qualcuna sulla carne e sulle candele di sego? O sulla dispensa?»
«No!» rispose l'albero.
«Ah, allora grazie!» dissero i ratti e si ritirarono.
Anche i topolini alla fine scomparvero e allora l'albero sospirò: «Era molto bello quando si sedevano intorno a me, quei vispi topolini, e ascoltavano i miei racconti. Adesso è finito anche questo! Ma devo ricordarmi di divertirmi, quando uscirò di qui!».
Che successe invece? Ah, sì! Una mattina presto giunse della gente a rovistare in soffitta. La casse vennero spostate e l'albero fu tirato fuori, lo gettarono senza alcuna cura sul pavimento e subito un cameriere lo trascinò verso le scale dove arrivava la luce del sole.
"Ora ricomincia la vita!" pensò l'albero, che sentì l'aria fresca e il primo raggio di sole. E così si ritrovò nel cortile. Tutto accadde così in fretta che l'albero non si accorse neppure del suo aspetto; c'era tanto da vedere tutt'intorno. Il cortile confinava con un giardino che era tutto fiorito, le rose pendevano fresche e profumate dalla bassa ringhiera, i tigli erano fioriti e le rondini volavano lì intorno e dicevano: «Kvirre-virre-vit, è arrivato mio marito!» ma non si riferivano all'abete.
«Adesso voglio vivere!» gridò lui pieno di gioia e allargò i rami, oh! erano tutti gialli e appassiti; e lui si trovava in un angolo tra ortiche e erbacce; ma la stella di carta dorata era ancora al suo posto e brillava al sole.
Nel cortile stavano giocando alcuni di quegli allegri bambini che a Natale avevano ballato intorno all'albero e ne erano stati tanto felici. Uno dei più piccoli corse a strappare la stella d'oro dall'albero.
«Guarda cosa c'è ancora su questo vecchio e brutto albero di Natale!» disse, e cominciò a pestare i rami che scricchiolarono sotto i suoi stivaletti.
L'albero guardò quegli splendidi fiori e quella freschezza del giardino, poi guardò se stesso e desiderò di essere rimasto in quell'angolo buio della soffitta. Pensò alla sua gioventù passata nel bosco, alla divertente notte di Natale, e ai topolini che erano così felici di aver sentito la storia di Klumpe-Dumpe.
«Finito! finito!» esclamò il povero albero. «Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo! finito! finito!»
Il cameriere sopraggiunse e tagliò l'albero in piccoli pezzi e ne fece un fascio. Come bruciò bene sotto il grande paiolo; sospirava profondamente e ogni sospiro sembrava una piccola esplosione; attratti da quegli scoppi, i bambini che stavano giocando accorsero e si misero davanti al fuoco e, guardandolo, gridarono: «Pif-pof!», ma a ogni crepitio, che era per lui un sospiro profondo, l'albero ripensava a un giorno d'estate nel bosco, a una notte d'inverno quando le stelle brillavano nel cielo, alla notte di Natale e a Klumpe-Dumpe, l'unica storia che aveva sentito e che sapeva raccontare. E intanto si era consumato tutto.
I bambini ripresero a giocare nel cortile e il più piccolo si era messo al petto la stella dorata che l'albero aveva portato nella serata più felice della sua vita; ora questa era finita, e anche l'albero era finito, e così anche la storia: finita, finita, come tutte le storie.


Andersen fiabe »



El abeto

Un cuento de Hans Christian Andersen
Allá en el bosque había un abeto, lindo y pequeñito. Crecía en un buen sitio, le daba el sol y no le faltaba aire, y a su alrededor se alzaban muchos compañeros mayores, tanto abetos como pinos.
Pero el pequeño abeto sólo suspiraba por crecer; no le importaban el calor del sol ni el frescor del aire, ni atendía a los niños de la aldea, que recorrían el bosque en busca de fresas y frambuesas, charlando y correteando. A veces llegaban con un puchero lleno de los frutos recogidos, o con las fresas ensartadas en una paja, y, sentándose junto al menudo abeto, decían: «¡Qué pequeño y qué lindo es!». Pero el arbolito se enfurruñaba al oírlo.
Al año siguiente había ya crecido bastante, y lo mismo al otro año, pues en los abetos puede verse el número de años que tienen por los círculos de su tronco.
«¡Ay!, ¿por qué no he de ser yo tan alto como los demás? - suspiraba el arbolillo -. Podría desplegar las ramas todo en derredor y mirar el ancho mundo desde la copa. Los pájaros harían sus nidos entre mis ramas, y cuando soplara el viento, podría mecerlas e inclinarlas con la distinción y elegancia de los otros».
Éranle indiferentes la luz del sol, las aves y las rojas nubes que, a la mañana y al atardecer, desfilaban en lo alto del cielo.
Cuando llegaba el invierno, y la nieve cubría el suelo con su rutilante manto blanco, muy a menudo pasaba una liebre, en veloz carrera, saltando por encima del arbolito. ¡Lo que se enfadaba el abeto! Pero transcurrieron dos inviernos más y el abeto había crecido ya bastante para que la liebre hubiese de desviarse y darle la vuelta. «¡Oh, crecer, crecer, llegar a ser muy alto y a contar años y años: esto es lo más hermoso que hay en el mundo!», pensaba el árbol.
En otoño se presentaban indefectiblemente los leñadores y cortaban algunos de los árboles más corpulentos. La cosa ocurría todos los años, y nuestro joven abeto, que estaba ya bastante crecido, sentía entonces un escalofrío de horror, pues los magníficos y soberbios troncos se desplomaban con estridentes crujidos y gran estruendo. Los hombres cortaban las ramas, y los árboles quedaban desnudos, larguiruchos y delgados; nadie los habría reconocido. Luego eran cargados en carros arrastrados por caballos, y sacados del bosque.
¿Adónde iban? ¿Qué suerte les aguardaba?
En primavera, cuando volvieron las golondrinas y las cigüeñas, les preguntó el abeto:
- ¿No sabéis adónde los llevaron? ¿No los habéis visto en alguna parte?
Las golondrinas nada sabían, pero la cigüeña adoptó una actitud cavilosa y, meneando la cabeza, dijo:
- Sí, creo que sí. Al venir de Egipto, me crucé con muchos barcos nuevos, que tenían mástiles espléndidos. Juraría que eran ellos, pues olían a abeto. Me dieron muchos recuerdos para ti. ¡Llevan tan alta la cabeza, con tanta altivez!
- ¡Ah! ¡Ojalá fuera yo lo bastante alto para poder cruzar los mares! Pero, ¿qué es el mar, y qué aspecto tiene?
- ¡Sería muy largo de contar! - exclamó la cigüeña, y se alejó.
- Alégrate de ser joven - decían los rayos del sol -; alégrate de ir creciendo sano y robusto, de la vida joven que hay en ti.
Y el viento le prodigaba sus besos, y el rocío vertía sobre él sus lágrimas, pero el abeto no lo comprendía.
Al acercarse las Navidades eran cortados árboles jóvenes, árboles que ni siquiera alcanzaban la talla ni la edad de nuestro abeto, el cual no tenía un momento de quietud ni reposo; le consumía el afán de salir de allí. Aquellos arbolitos - y eran siempre los más hermosos - conservaban todo su ramaje; los cargaban en carros tirados por caballos y se los llevaban del bosque.
«¿Adónde irán éstos? - preguntábase el abeto -. No son mayores que yo; uno es incluso más bajito. ¿Y por qué les dejan las ramas? ¿Adónde van?».
- ¡Nosotros lo sabemos, nosotros lo sabemos! - piaron los gorriones -. Allá, en la ciudad, hemos mirado por las ventanas. Sabemos adónde van. ¡Oh! No puedes imaginarte el esplendor y la magnificencia que les esperan. Mirando a través de los cristales vimos árboles plantados en el centro de una acogedora habitación, adornados con los objetos más preciosos: manzanas doradas, pastelillos, juguetes y centenares de velitas.
- ¿Y después? - preguntó el abeto, temblando por todas sus ramas -. ¿Y después? ¿Qué sucedió después?
- Ya no vimos nada más. Pero es imposible pintar lo hermoso que era.
- ¿Quién sabe si estoy destinado a recorrer también tan radiante camino? - exclamó gozoso el abeto -. Todavía es mejor que navegar por los mares. Estoy impaciente por que llegue Navidad. Ahora ya estoy tan crecido y desarrollado como los que se llevaron el año pasado. Quisiera estar ya en el carro, en la habitación calentita, con todo aquel esplendor y magnificencia. ¿Y luego? Porque claro está que luego vendrá algo aún mejor, algo más hermoso. Si no, ¿por qué me adornarían tanto? Sin duda me aguardan cosas aún más espléndidas y soberbias. Pero, ¿qué será? ¡Ay, qué sufrimiento, qué anhelo! Yo mismo no sé lo que me pasa.
- ¡Gózate con nosotros! - le decían el aire y la luz del sol goza de tu lozana juventud bajo el cielo abierto.
Pero él permanecía insensible a aquellas bendiciones de la Naturaleza. Seguía creciendo, sin perder su verdor en invierno ni en verano, aquel su verdor oscuro. Las gentes, al verlo, decían: - ¡Hermoso árbol! -. Y he ahí que, al llegar Navidad, fue el primero que cortaron. El hacha se hincó profundamente en su corazón; el árbol se derrumbó con un suspiro, experimentando un dolor y un desmayo que no lo dejaron pensar en la soñada felicidad. Ahora sentía tener que alejarse del lugar de su nacimiento, tener que abandonar el terruño donde había crecido. Sabía que nunca volvería a ver a sus viejos y queridos compañeros, ni a las matas y flores que lo rodeaban; tal vez ni siquiera a los pájaros. La despedida no tuvo nada de agradable.
El árbol no volvió en sí hasta el momento de ser descargado en el patio junto con otros, y entonces oyó la voz de un hombre que decía:
- ¡Ese es magnífico! Nos quedaremos con él.
Y se acercaron los criados vestidos de gala y transportaron el abeto a una hermosa y espaciosa sala. De todas las paredes colgaban cuadros, y junto a la gran estufa de azulejos había grandes jarrones chinos con leones en las tapas; había también mecedoras, sofás de seda, grandes mesas cubiertas de libros ilustrados y juguetes, que a buen seguro valdrían cien veces cien escudos; por lo menos eso decían los niños. Hincaron el abeto en un voluminoso barril lleno de arena, pero no se veía que era un barril, pues de todo su alrededor pendía una tela verde, y estaba colocado sobre una gran alfombra de mil colores. ¡Cómo temblaba el árbol! ¿Qué vendría luego?
Criados y señoritas corrían de un lado para otro y no se cansaban de colgarle adornos y más adornos. En una rama sujetaban redecillas de papeles coloreados; en otra, confites y caramelos; colgaban manzanas doradas y nueces, cual si fuesen frutos del árbol, y ataron a las ramas más de cien velitas rojas, azules y blancas. Muñecas que parecían personas vivientes - nunca había visto el árbol cosa semejante - flotaban entre el verdor, y en lo más alto de la cúspide centelleaba una estrella de metal dorado. Era realmente magnífico, increíblemente magnífico.
- Esta noche - decían todos -, esta noche sí que brillará.
«¡Oh! - pensaba el árbol -, ¡ojalá fuese ya de noche! ¡Ojalá encendiesen pronto las luces! ¿Y qué sucederá luego? ¿Acaso vendrán a verme los árboles del bosque? ¿Volarán los gorriones frente a los cristales de las ventanas? ¿Seguiré aquí todo el verano y todo el invierno, tan primorosamente adornado?».
Creía estar enterado, desde luego; pero de momento era tal su impaciencia, que sufría fuertes dolores de corteza, y para un árbol el dolor de corteza es tan malo como para nosotros el de cabeza.
Al fin encendieron las luces. ¡Qué brillo y magnificencia! El árbol temblaba de emoción por todas sus ramas; tanto, que una de las velitas prendió fuego al verde. ¡Y se puso a arder de verdad!
- ¡Dios nos ampare! - exclamaron las jovencitas, corriendo a apagarlo. El árbol tuvo que esforzarse por no temblar. ¡Qué fastidio! Le disgustaba perder algo de su esplendor; todo aquel brillo lo tenía como aturdido. He aquí que entonces se abrió la puerta de par en par, y un tropel de chiquillos se precipitó en la sala, que no parecía sino que iban a derribar el árbol; les seguían, más comedidas, las personas mayores. Los pequeños se quedaron clavados en el suelo, mudos de asombro, aunque sólo por un momento; enseguida se reanudó el alborozo; gritando con todas sus fuerzas, se pusieron a bailar en torno al árbol, del que fueron descolgándose uno tras otro los regalos.
«¿Qué hacen? - pensaba el abeto -. ¿Qué ocurrirá ahora?».
Las velas se consumían, y al llegar a las ramas eran apagadas. Y cuando todas quedaron extinguidas, se dio permiso a los niños para que se lanzasen al saqueo del árbol. ¡Oh, y cómo se lanzaron! Todas las ramas crujían; de no haber estado sujeto al techo por la cúspide con la estrella dorada, seguramente lo habrían derribado.
Los chiquillos saltaban por el salón con sus juguetes, y nadie se preocupaba ya del árbol, aparte la vieja ama, que, acercándose a él, se puso a mirar por entre las ramas. Pero sólo lo hacía por si había quedado olvidado un higo o una manzana.
- ¡Un cuento, un cuento! - gritaron de pronto, los pequeños, y condujeron hasta el abeto a un hombre bajito y rollizo.
El hombre se sentó debajo de la copa. - Pues así estamos en el bosque - dijo -, y el árbol puede sacar provecho, si escucha. Pero os contaré sólo un cuento y no más. ¿Preferís el de Ivede-Avede o el de Klumpe-Dumpe, que se cayó por las escaleras y, no obstante, fue ensalzado y obtuvo a la princesa? ¿Qué os parece? Es un cuento muy bonito.
- ¡Ivede-Avede! - pidieron unos, mientras los otros gritaban: - ¡Klumpe-Dumpe!
¡Menudo griterío y alboroto se armó! Sólo el abeto permanecía callado, pensando: «¿y yo, no cuento para nada? ¿No tengo ningún papel en todo esto?». Claro que tenía un papel, y bien que lo había desempeñado.
El hombre contó el cuento de Klumpe-Dumpe, que se cayó por las escaleras y, sin embargo, fue ensalzado y obtuvo a la princesa. Y los niños aplaudieron, gritando: - ¡Otro, otro! -. Y querían oír también el de Ivede-Avede, pero tuvieron que contentarse con el de Klumpe-Dumpe. El abeto seguía silencioso y pensativo; nunca las aves del bosque habían contado una cosa igual. «Klumpe-Dumpe se cayó por las escaleras y, con todo, obtuvo a la princesa. De modo que así va el mundo» - pensó, creyendo que el relato era verdad, pues el narrador era un hombre muy afable -. «¿Quién sabe? Tal vez yo me caiga también por las escaleras y gane a una princesa». Y se alegró ante la idea de que al día siguiente volverían a colgarle luces y juguetes, oro y frutas.
«Mañana no voy a temblar - pensó -. Disfrutaré al verme tan engalanado. Mañana volveré a escuchar la historia de Klumpe­Dumpe, y quizá, también la de Ivede-Avede». Y el árbol se pasó toda la noche silencioso y sumido en sus pensamientos.
Por la mañana se presentaron los criados y la muchacha.
«Ya empieza otra vez la fiesta», pensó el abeto. Pero he aquí que lo sacaron de la habitación y, arrastrándolo escaleras arriba, lo dejaron en un rincón oscuro, al que no llegaba la luz del día.
«¿Qué significa esto? - preguntóse el árbol -. ¿Qué voy a hacer aquí? ¿Qué es lo que voy a oír desde aquí?». Y, apoyándose contra la pared, venga cavilar y más cavilar. Y por cierto que tuvo tiempo sobrado, pues iban transcurriendo los días y las noches sin que nadie se presentara; y cuando alguien lo hacía, era sólo para depositar grandes cajas en el rincón. El árbol quedó completamente ocultado; ¿era posible que se hubieran olvidado de él?
«Ahora es invierno allá fuera - pensó -. La tierra está dura y cubierta de nieve; los hombres no pueden plantarme; por eso me guardarán aquí, seguramente hasta la primavera. ¡Qué considerados son, y qué buenos! ¡Lástima que sea esto tan oscuro y tan solitario! No se ve ni un mísero lebrato. Bien considerado, el bosque tenía sus encantos, cuando la liebre pasaba saltando por el manto de nieve; pero entonces yo no podía soportarlo. ¡Esta soledad de ahora sí que es terrible!».
«Pip, pip», murmuró un ratoncillo, asomando quedamente, seguido a poco de otro; y, husmeando el abeto, se ocultaron entre sus ramas.
- ¡Hace un frío de espanto! - dijeron -. Pero aquí se está bien. ¿Verdad, viejo abeto?
- ¡Yo no soy viejo! - protestó el árbol -. Hay otros que son mucho más viejos que yo.
- ¿De dónde vienes? ¿Y qué sabes? - preguntaron los ratoncillos. Eran terriblemente curiosos -. Háblanos del más bello lugar de la Tierra. ¿Has estado en él? ¿Has estado en la despensa, donde hay queso en los anaqueles y jamones colgando del techo; donde se baila a la luz de la vela y donde uno entra flaco y sale gordo?
- No lo conozco - respondió el árbol -; pero, en cambio, conozco el bosque, donde brilla el sol y cantan los pájaros -. Y les contó toda su infancia; y los ratoncillos, que jamás oyeran semejantes maravillas, lo escucharon y luego exclamaron: - ¡Cuántas cosas has visto! ¡Qué feliz has sido!
- ¿Yo? - replicó el árbol; y se puso a reflexionar sobre lo que acababa de contarles -. Sí; en el fondo, aquéllos fueron tiempos dichosos. Pero a continuación les relató la Nochebuena, cuando lo habían adornado con dulces y velillas.
- ¡Oh! - repitieron los ratones -, ¡y qué feliz has sido, viejo abeto!
- ¡Digo que no soy viejo! - repitió el árbol -. Hasta este invierno no he salido del bosque. Estoy en lo mejor de la edad, sólo que he dado un gran estirón.
- ¡Y qué bien sabes contar! - prosiguieron los ratoncillos; y a la noche siguiente volvieron con otros cuatro, para que oyesen también al árbol; y éste, cuanto más contaba, más se acordaba de todo y pensaba: «La verdad es que eran tiempos agradables aquéllos. Pero tal vez volverán, tal vez volverán. Klumpe-Dumpe se cayó por las escaleras y, no obstante, obtuvo a la princesa; quizás yo también consiga una». Y, de repente, el abeto se acordó de un abedul lindo y pequeñín de su bosque; para él era una auténtica y bella princesa.
- ¿Quién es Klumpe-Dumpe? - preguntaron los ratoncillos. Entonces el abeto les narró toda la historia, sin dejarse una sola palabra; y los animales, de puro gozo, sentían ganas de trepar hasta la cima del árbol. La noche siguiente acudieron en mayor número aún, y el domingo se presentaron incluso dos ratas; pero a éstas el cuento no les pareció interesante, lo cual entristeció a los ratoncillos, que desde aquel momento lo tuvieron también en menos.
- ¿Y no sabe usted más que un cuento? - inquirieron las ratas.
- Sólo sé éste - respondió el árbol -. Lo oí en la noche más feliz de mi vida; pero entonces no me daba cuenta de mi felicidad.
- Pero si es una historia la mar de aburrida. ¿No sabe ninguna de tocino y de velas de sebo? ¿Ninguna de despensas?
- No - confesó el árbol.
- Entonces, muchas gracias - replicaron las ratas, y se marcharon a reunirse con sus congéneres.
Al fin, los ratoncillos dejaron también de acudir, y el abeto suspiró: «¡Tan agradable como era tener aquí a esos traviesos ratoncillos, escuchando mis relatos! Ahora no tengo ni eso. Cuando salga de aquí, me resarciré del tiempo perdido».
Pero ¿iba a salir realmente? Pues sí; una buena mañana se presentaron unos hombres y comenzaron a rebuscar por el desván. Apartaron las cajas y sacaron el árbol al exterior. Cierto que lo tiraron al suelo sin muchos miramientos, pero un criado lo arrastró hacia la escalera, donde brillaba la luz del día.
«¡La vida empieza de nuevo!», pensó el árbol, sintiendo en el cuerpo el contacto del aire fresco y de los primeros rayos del sol; estaba ya en el patio. Todo sucedía muy rápidamente; el abeto se olvidó de sí mismo: ¡Había tanto que ver a su alrededor! El patio estaba contiguo a un jardín, que era una ascua de flores; las rosas colgaban, frescas o fragantes, por encima de la diminuta verja; estaban en flor los tilos, y las golondrinas chillaban, volando: «¡Quirrevirrevit, ha vuelto mi hombrecito!». Pero no se referían al abeto.
«¡Ahora a vivir!», pensó éste alborozado, y extendió sus ramas. Pero, ¡ay!, estaban secas y amarillas; y allí lo dejaron entre hierbajos y espinos. La estrella de oropel seguía aún en su cúspide, y relucía a la luz del sol.
En el patio jugaban algunos de aquellos alegres muchachuelos que por Nochebuena estuvieron bailando en torno al abeto y que tanto lo habían admirado. Uno de ellos se le acercó corriendo y le arrancó la estrella dorada.
- ¡Mirad lo que hay todavía en este abeto, tan feo y viejo! - exclamó, subiéndose por las ramas y haciéndolas crujir bajo sus botas.
El árbol, al contemplar aquella magnificencia de flores y aquella lozanía del jardín y compararlas con su propio estado, sintió haber dejado el oscuro rincón del desván. Recordó su sana juventud en el bosque, la alegre Nochebuena y los ratoncillos que tan a gusto habían escuchado el cuento de Klumpe-Dumpe.
«¡Todo pasó, todo pasó! - dijo el pobre abeto -. ¿Por qué no supe gozar cuando era tiempo? Ahora todo ha terminado».
Vino el criado, y con un hacha cortó el árbol a pedazos, formando con ellos un montón de leña, que pronto ardió con clara llama bajo el gran caldero. El abeto suspiraba profundamente, y cada suspiro semejaba un pequeño disparo; por eso los chiquillos, que seguían jugando por allí, se acercaron al fuego y, sentándose y contemplándolo, exclamaban: «¡Pif, paf!». Pero a cada estallido, que no era sino un hondo suspiro, pensaba el árbol en un atardecer de verano en el bosque o en una noche de invierno, bajo el centellear de las estrellas; y pensaba en la Nochebuena y en Klumpe­Dumpe - el único cuento que oyera en su vida y que había aprendido a contar - y así hasta que estuvo del todo consumido.
Los niños jugaban en el jardín, y el menor de todos se había prendido en el pecho la estrella dorada que había llevado el árbol en la noche más feliz de su existencia. Pero aquella noche había pasado, y, con ella, el abeto y también el cuento: ¡Adiós, adiós! Y éste es el destino de todos los cuentos.

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